Tornare a teatro è un po’ come rientrare nella vecchia casa di campagna dei nonni. Anche a luce spenta, l’odore padrone di quelle mura è inconfondibile: semplice e familiare. Un odore che mi ricorda tanto quello dei prati ad aprile, che sono così belli, naturali e vivi, ogni anno.
Il teatro si fa: servono braccia, voce ed empatia. Il teatro parte da me, parte da te, parte da noi che non siamo mai uguali, che un giorno siamo innamorati e la settimana dopo siamo crudeli, diaperati, entusiasti, commossi, imbarazzati, curiosi. Parte da chi diventa altri uomini, altre città, chi si cambia in una rosa, una bestia o una lucciola ma resta comunque nascosto dietro le righe di una battuta. È il mare caldo in cui amo tuffarmi, e che mi spinge a nuotare ad ampie e faticose bracciate ben oltre la messa in scena finale.
Il teatro è fatto di battiti, quelli nervosi e impazziti che irrompono solo dietro le quinte, a sipario aperto. È proprio quando credo che il cuore mi stia scoppiando in gola, quando sento la testa che pulsa e il sangue che scorre veloce, che mi interrogo.
Una sola domanda.
Breve, sincera.
Aspetto qualche secondo, e rispondo sempre entrando in scena.
Scelgo il teatro.