La ribellione viola

Sarà che di scrivere testi struggenti per ora mi son stancata.
Essere triste mi annoia.
Quindi racconterò della mia ribellione da neo-diciottene che Freud classificherebbe come una qualche patologia o che perlomeno spiegherebbe meglio.
La chiamerò la ribellione viola, che da ‘stamattina è anche il colore dei miei capelli. Storia complicata.
Mentre aspettavo che la tinta attecchisse sul castano chiaro mi sono guardata allo specchio con il camice nero e un pastrocchio in testa che assomigliava tanto ai miei quadri quand’avevo cinque anni, e ho pensato a come la vita fosse proprio piena di occasioni. Una sorta di Amleto che si interroga sull’essere più profondo reggendo un tubetto di tinta al posto del teschio.
Sono arrivata dal parrucchiere con l’idea di accorciarli come al solito, e invece adesso sono viola e lunedì prossimo sono a Ravenna a fare la modella di fortuna.
Mi sono guardata e ho pensato che dovevo proprio avere un’espressione simile quando una mattina di 3 anni fa sono arrivata nello stesso posto con la stessa idea e sono uscita con 30 cm di capelli in meno.
Tralasciando quanto mi piaccia parlare vanitosamente dei miei ricci, questa piccola e banale riflessione ha scatenato una una personale sessione filosofica.
Mi sono resa conto di quanto io sia viva! E in modo positivo: mi piace pensare di avere mille anni davanti e di poter cogliere le occasioni nuove e coraggiose che intercetto.
Mi piace pensare a come possa fare un dito medio al periodo “leopardiano” di malinconia e profonda tristezza che sembra andare per la maggiore a tutti, ed essere felice felice.
Amo le cose che cambiano e amo quando cambiano me. Anche se si fa fatica.
La mia ribellione viola non so da dove sia saltata fuori, perché non se l’aspettava nessuno. Non si aspettava nessuno neanche che mi facessi un tatuaggio in discoteca e che mi mettessi a dipingere sugli armadi.
Essere imprevedibile mi diverte molto.
Il mio lato da psicologa bisbiglia che mi diverte anche perché se non sono prevedibile non sono vulnerabile. Mi da della fifona.
Ma oggi la strizzacervelli deve tacere.
Sono senza dolore, senza nulla da dimenticare, solo puro e semplice cambiamento. Di quelli pieni e colorati. Di quelli che si sente lontano un chilometro come profumino di buono. Di fresco.

Ci sto prendendo gusto a mettere tutti questi punti. A usare una grammatica formalmente discutibile. A scrivere questi post nonsense.

Le mie camelie

Ieri sera ci siamo seduti attorno ad un tavolo, io e pochi amici buoni. Un gruppo per niente omogeneo ma speciale. Abbiamo chiacchierato e sorridendo ho spiegato loro la mia categoria della possibilità. L’ho buttata lì sperando che germogliasse come è successo a me quando ho conosciuto Tiziana: Professoressa di liceo.
Lei mi racconta di come nessun giorno sarà mai uguale all’altro e di quanto sia importante essere aperti al fatto che tutto possa succedere. Si è fatta la promessa di non dare per persa neanche un’ora, neanche una classe, neanche una persona. Ha deciso di guardare il mondo lasciandogli il prezioso beneficio del dubbio.
L’anno che sta per finire è stato forse per me il più esigente e doloroso tra i miei freschissimi 18 di vita. Ci sono stati mesi in cui ho davvero pensato che qualcuno là sopra si divertisse nel lasciare aperti rubinetti che scaricavano solo acqua sporca e pesante sulla mia testa. Nuotavo nel petrolio. È stato il mio primo vero contatto con una vita leggermente amara.
Avevo chiuso contatti e perso amicizie. Allontanato persone. Smesso di ballare. Smesso di scrivere.
Ero profondamente arrabbiata.
È stato un anno cattivo.
La cosa più sorprendente di tutte, è che proprio in quell’anno ho fatto letture, incontri casuali, trovato significati che mi hanno cambiata e trasformata.
Non ho ricevuto nessuna illuminazione mistica né chiamata dal cielo.
Una mattina ho aperto gli occhi e ho deciso inconsciamente che era il momento di accendere la mia categoria della possibilità.
Ho deciso di cambiare inquadratura. Ho letto Calvino e mi ha detto che quando il mondo mi sembra condannato alla pesantezza posso volare come Perseo in un altro spazio. Posso guardarlo a testa in giù, senza scappare.
Ho letto di un’armonia bellissima e impalpabile che non poteva lasciarmi indifferente. Ho letto delle camelie. Ho rincominciato a pensare che un senso ci sia sempre, che la bellezza stia negli occhi di chi la guarda.
Può sembrare stupido e infantile, e non ho nessuna prova per dire che non lo sia.
L’unica controprova sono io, che di certo vivo più forte.
Sono rimasta quasi delusa quando ho scoperto che non c’è nessun traguardo nella malinconia che avevo scelto come seconda casa.
Nessuna poesia nel dolore.
Quest’anno è stato bruttissimo nei suoi stravolgimenti e bellissimo nel fatto che io li abbia accettati e fatti miei.
Ho incontrato le camelie e sto aggiustando il mio punto di equilibrio.

Voglio augurarti un lungo viaggio dentro te stesso.
Voglio augurarti la più accesa e ampia categoria della possibilità mai vista al mondo.
A chi parte, a chi torna, a chi scrive e si racconta. A chi non ci crede. A chi ha letto e non è d’accordo.
Spero che un giorno ognuno di noi trovi le proprie camelie.