Erano anni che non entravo in quella scuola.
L’edificio in sé è sempre stato anonimo: molte aule e larghi corridoi in davvero pochi metri di altezza. Fin da quando avevo dodici anni ho sempre avuto l’impressione di poter toccare il soffitto solo tendendo la mano.
Ho notato un nuovo murales prima di passare oltre il cancello verde d’entrata, molto più bello di quello che era nello stesso punto cinque anni fa, quando ero studentessa io.
Sono state davvero due ore speciali.
Io e Francesca siamo rimaste in 3°C un tempo infinito, mentre la nostra ex prof di italiano chiedeva con occhi da mamma quali fossero i nostri progetti per il futuro, le nostre preoccupazioni, le nostre soddisfazioni.
Ho lasciato il cuore in chi mi ha donato le basi per conoscere e amare la letteratura e la scrittura.
In chi ha sempre profondamente creduto in me.
Quando ho detto alla mia ex prof di lettere che a settembre avrei tentato il provino per entrare all’accademia di recitazione di Roma, a lei che è stata la prima a mettermi su un palcoscenico e a farmi amare il teatro, si è commossa.
Si è commossa e io mi sono ricordata quanto siano state importanti per me le persone che ho conosciuto in quei tre anni, quando ancora non lo sapevo.
Abbiamo riconosciuto in quei 24 paia di occhi della 3°C la stessa curiosità e paura di scottarci che avevamo tra quei banchi, abbiamo risposto a domande che erano nostre cinque anni fa e che forse lo sono ancora.
Avrei voluto dire loro di quanto saranno grati a quella scuola quando ritorneranno più grandi, consapevoli, forse preoccupati, e si accorgeranno di come il tempo lì dentro si sia meravigliosamente fermato.
Prima di andarcene, siamo rimaste in attesa cinque minuti davanti alla 1°A, per dire ciao anche al nostro ex prof di storia.
Stava descrivendo per i suoi bambini la battaglia più vera che potessero immaginare, parlava di cavalli, armature e fatica, facendo esempi tanto concreti che, un attimo prima che bussassimo alla porta, uno di quegli incantati frugolini si è lasciato scappare un adorante ‘’ Mamma mia!’’.
È questa la scuola che voglio.
Una scuola che emozioni.
Questa è la ‘’buona scuola’’, qualcosa di talmente raro e prezioso che ho avuto paura di sciupare bussando a quella porta, interrompendo la battaglia.
È una scuola che faccio fatica a ricordare, mentre mi racconto di frequentare un ottimo liceo.
L’emozione che un insegnante prova e riesce a donare mentre forma i suoi studenti è ciò che mi manca e che da qualche anno a questa parte mi ha fatto definire la scuola italiana come fallimentare, senza meritocrazia, senza decisioni intelligenti.
Senza l’intenzione di formare individui pensanti.
La mancanza di passione è forse ciò che mi ha deluso di più.
Poi un bambino dice “Mamma mia!” durante una lezione di storia e io mi sento davvero sollevata.
Se n’è accorto anche lui.
Mamma mia.