Uscire in mare è molto semplice.
Bisogna equipaggiarsi con i giusti compagni: maschera, boccaglio, pinne.
Servono poche cose e se l’acqua limpida diventa tua amica schiude sotto di sé incredibili meraviglie. Stare a galla nell’alta acqua salata diventa immediato anche per i più inesperti se una leggera corrente ti permette di mantenere il giusto assetto, mentre pinneggi tra un’insenatura e l’altra.
Ciò che mi affascina del nuoto è il principio di cooperazione con l’acqua: Quando il nuotatore esercita una spinta all’indietro, ne risulta una forza che lo spinge avanti.
Se il nuotatore, però, sbaglia la spinta dell’acqua, essa genera una flusso gemello nella direzione scorretta. Energia persa.
Ciò che pareva inizialmente molto semplice si scioglie sotto il terzo principio della dinamica, ed è con grande attenzione che bisogna calcolare ogni bracciata.
Il colore dei piccoli pesci tra le rocce perde la sua vividezza se ci si concentra su come spendere solo energia giusta, senza perdere tempo e forze alla fine di una lunga traversata.
Quando sono immersa nel tuo grande mare scuro, sola e avulsa da ogni rumore, spesso mi chiedo come calcolare il mio movimento senza fare un’enorme fatica per spostarmi solo di qualche centimetro. Cerco di pianificare tutto al meglio, ma finisco per imbattermi ogni volta in qualche riccio di mare. Il trittico di strumenti del nuotatore non basta più, e non mi rimane altro che restare a galla sul dorso, facendo il morto, per prendere fiato e pensare.
A volte penso così tanto che non mi accorgo che l’acqua che amo è la stessa che mi corrode la pelle.
Ma per diventare fluidi occorre esercizio e bisogna imparare a sapersi rilassare. Sì, anche nell’acqua.
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Mai cosa più vera fu detta. La parte fondamentale però sono i tempi di apprendimento: la fluidità è un lusso che si dilaziona con il contagocce.
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Al mare, il terzo principio della dinamica funziona bene facendo il morto a galla.
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