Non sei più quella che eri ed è giusto che sia così.
Ogni mia storia inizia inizia sempre con una figura che passeggia.
Un cielo terso, un fiume molto antico, foglie appena bruciate che cadono da alberi stiracchianti.
Mi vedo vecchia, mentre cammino placida sul marciapiede costruito ai bordi del fiume di una città che non esiste. Quella che vedo è la città che la mia mente plasma unendo particolari di tutte quelle che sono state mie. Mi diverte molto il fatto che la più evidente sia quella che ho odiato e in cui ancora sono, Milano.
Sola, cammino.
Sembro una signora tranquilla, con grande dignità, che si diletta nel pomeriggio autunnale a prendere l’ultima carezza di sole, con la calma di chi non conosce più il significato del perdere tempo.
Dietro questa signora con un lungo cappotto marrone ci sono gli anni che non ho ancora vissuto e quelli che hanno già toccato le mie dita. Letteralmente, anche per gli anelli che porto.
Le rughe sono solo il minimo segno di una vita che è passata: gli anni si accumulano in ciò che portiamo addosso, come amuleti, che ci confortano e ci fanno sperare nel futuro. Come a dire: “Io sono questo: sono l’insieme delle cose che porto. Sulle mie dita, al mio collo, sulla mia pelle ci sono ricordi dal microscopico peso, che ho eletto a simboli nel mio andare avanti”.
Riavvolgo l’immagine della signora come un nastro e la vedo ringiovanire di anno in anno, la vedo seduta in tarda notte a un tavolo della cucina, così simile a quello della mia infanzia, preoccupata per qualche cavillo nel contratto della quotidianità. Sola, nuovamente, ma soltanto per quella piccola parentesi notturna. Una parentesi che inizia crucciata e che muta poi in una finestra salvifica, per chiudere fuori un momento il brusio delle lunghissime giornate feriali e lucidamente razionalizzare ciò che è stato negli anni.
Una gallerista che finalmente, di notte, insieme al silenzio, può sedere davanti a un’opera e guardarla nel suo insieme. Che magari sorride, ritrovando nel quadro qualcosa che pensava di aver perso.
Gli amuleti che portiamo addosso ci ricordano cosa abbiamo scelto fosse importante.
Ogni sfumatura, ogni segreto, ogni amica morta, ogni depressione conosciuta, ogni parola repressa, ogni forza da dividere, ogni trasloco, ogni lavoro, ogni frivolezza, ogni cancro, ognuna di queste cose che decidiamo di non portare sulle mani giace sul fondale del nostro pozzo, sulla pianta dei nostri piedi.
Tranne che per queste piccole, silenziose, parentesi notturne. Dove tutto galleggia, ma in maniera lucida. Quando ci rendiamo conto di non essere più ciò che eravamo, e che è giusto che sia così.