Quella sera gli automobilisti erano nervosi.
Lo si notava senza bisogno di clacson e strepitii, giravano semplicemente tutti molto veloci, con la fretta scontrosa di una giornata storta.
Gli incroci erano intasati e stanchi, c’erano sguardi gelidi ad ogni semaforo.
Occhiaie profonde in visi che non vedevano l’ora di tornare a casa, assorti in un mondo di pensieri pesanti: si facevano tic accanto alle faccende sbrigate, in programmi giornalieri scritti a mente in modo indelebile, quasi come un’agenda, e ci si mangiava le unghie per quello che non si aveva avuto il tempo di fare.
“Le giornate dovrebbero essere di 48 ore.”
Me lo diceva sempre.
Ma cosa può succedere, di giovedì, in un tardo pomeriggio sfibrato, nessuno può saperlo.
La strada era sempre quella da 8 anni.
Strette viuzze di campagna, in mezzo a campi che d’estate si riempivano di girasoli.
Avrei potuto scrivere che esplodevano, urlavano di girasoli.
Ballavano, cantavano, vivevano, ridevano, piangevano, di girasoli.
Ma a volte le cose semplici sono le uniche che riescano a fare breccia nei muri di mattoni spessi che proteggono o rinchiudono l’animo umano. Perciò dirò che si riempivano di girasoli. Come per intendere tutto ma trattarlo con lo stesso rispetto di un segreto.
La macchina viaggiava sostenuta, stava imboccando la prima di quelle tante viuzze. Era rimasta per 3 ore parcheggiata vicino alla biblioteca e finalmente stava per riabbracciare casa.
Poi, successe.
Successe tutto in cinque minuti.
Successe che tramontò.
Tramontò e tutti gli automobilisti di quelle strette strade di campagna rallentarono.
Le nuvole facevano da corona ad un sole che illuminava di rosso tutti i campi senza girasoli, che per un attimo smisero di essere tristi.
Non credo ci sia una maniera per descrivere il mondo che si addormenta, se n’è sempre parlato da secoli, e così si continuerà a fare, senza trovare parole che gli rendano giustizia.
Per cui non ne parlerò.
Dirò solo che nei cinque minuti che intercorsero dalle 18.08 alle 18.13 io non c’ero più.
Non c’era più la fretta, le facce stanche, le occhiaie, le cose non fatte, la macchina, i girasoli che in effetti non c’erano veramente, la biblioteca, casa mia.
Non c’era niente.
Solo un eco, e diceva: com’è bello il mondo.
Solo tramonto.

e poi in macchina quando è buio. La vita allora è diversa. Più calma.
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Forse quasi migliore.
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