C’est la vie de merde

Come quando si esce da casa della nonna e piove solo durante il tragitto fino alla macchina.
Appena si chiude lo sportello il timidone giallo si risfila le nuvole quasi fossero maglioni e torna a fare lo splendido. Ma dico, almeno chiedere scusa.
Come quando si è a scuola e Quello di storia tenta di parlare francese, ripetutamente, e sono le 13 meno 10 e uno vorrebbe solo coprirsi le orecchie e uscire di corsa.
“Cet la vies”
Sì, c’est la vie de merde.
Perchè sono seduta in un posto pieno di polvere e io con la polvere starnutisco a ripetizione e ho anche finito i fazzoletti, che se uso le salviette del bagno 100% carta vetrata dopo due starnuti sembro Rudolph the red-nosed reindeer.
Ahhh, la vie de merde.
Che Levante canta “che vita di merda” ma non suona uguale. E poi lo canta così bene che mi rimane in testa e prendo a canticchiarlo anch’io, e va a finire che ci credo davvero.
È una vie de merde anche quando vado a zumba alle 8 e faccio aperitivo mezzora prima così c’arrivo piena e anche un po’ brilla, e la russa tutta pepe che mi fa lezione se ne accorge e mi fa lavorare il doppio.
Forse allora il problema non è la vita ma l’apéritif. L’Aperol come causa di ogni male.
Però ‘vie’ è più facile da dire, persino per Quello di storia.
E c’est le spritz de merde suona proprio come una bestemmia.

Torno presto, pagina 109

In qualche luogo, dicono gli sciocchi, c’è un Dio che si occupa dell’amore e di quanti capelli abbiamo in testa e pretende che ci si procuri un pezzo di carta prima di amare una donna.
Era questa la risposta che stava cercando Andrea.
Dondolava le gambe in modo infantile, a destra e a sinistra, con i capelli biondi raccolti male e lo sguardo perso dietro gli occhiali. Era seduta di fianco alla cattedra, su una vecchia sedia azzurra a rotelle, il lusso più estremo della scuola pubblica.
La guardavano 22 paia di occhi.
Era questo quello che voleva dire, lasciando che fossero le parole di qualcun altro a parlare per lei. Le parole di quel libro che le era piaciuto tanto. Voleva citare Barlow e poi tacere, non spiegare niente, lasciando gli stolti a bocca asciutta e accendendo i curiosi.
Un pezzo di carta prima di amare una donna e i capelli che si hanno in testa.
Che altro c’era da specificare?
Quando Andrea aveva letto quelle 2 righe il caro J.B. l’aveva stesa.
Avevano inghiottito il resto della pagina.
Poi le era venuta in mente una canzone che aveva sentito due settimane prima dividendo le cuffie con un suo amico. Cinque ragazzi cantavano ” Fatti poche domande e avrai tutte le risposte ”. E Andrea era d’accordo, solo che pensava che certe risposte sarebbero andate bene per qualsiasi tipo di domanda. Ché il punto interrogativo alla fine poi cosa contava. Risposte che non completavano la richiesta in sé ma chi l’aveva fatta.
Pensava anche che se prima o poi si fosse posta quesiti come Chi sono, Da dove vengo, Perché il mio vicino di casa usa il trapano alle sei di mattina e Cosa c’è alla fine del mondo, sapere di un Dio che si occupa di amore e di capelli sarebbe stato in qualche modo rincuorante.
Non risolveva i dubbi ma risolveva Andrea.

Ad un certo punto si era resa conto di essere rimasta intrappolata nel suo labirinto, di essersi incantata fissando il calendario e che tutti stavano guardando nella stessa direzione, cercando di cogliere il significato del suo silenzio.
La prof aspettava ancora una risposta.
La guardava un po’ stranita, quasi preoccupata.
Andrea aveva ricambiato lo sguardo, e con tutta la sincerità del mondo le aveva chiesto:
” Scusi, qual era la domanda?”

Consigli buoni e antipatici

C’ero io e c’erano altre quattro amiche. Ognuna seduta al proprio posto, in un tavolo troppo piccolo al freddo di un ottobre in centro città. C’erano le storie che a turno ci raccontavamo tra le risate e gli abbracci e le domande tristi che a volte scappavano.
Bisogna restare con i piedi per terra.
C’ero io e c’erano le mie quattro amiche, mentre ci aggrovigliavamo su noi stesse nelle storie che ci appartenevano. Era così: si partiva lasciando uscire timida la prima parola e ci si ritrovava ad essere come i rami dell’edera cattiva che si contorce sul grosso tronco della lucidità e della verità, crescendo senza fine. Quando all’albero sembrava non arrivasse più luce, né aria, né vita, arrivavamo tutte in gruppo e strappavamo via le foglie succhia-anima.
Stare insieme e stare attente ad ascoltarsi per bene e fino in fondo, che spesso non è un’attitudine ma un impegno, una scelta. Avevamo deciso che dava più soddisfazioni avere la volontà sincera di capirci piuttosto che lamentarci di non riuscire a farlo.
È così semplice: io ho tanti libri sul comodino e penso spesso a come vorrei leggerli tutti, lamentandomi di come mi manchi il tempo per farlo. Poi arriva la giornata che li osservo per un po’, ne prendo uno in mano e lo finisco in due ore, senza rinunciare a niente a parte perdere tempo scorrendo le Home asciutte dei social network. Lì capisco che se voglio posso leggere tutto il mondo. Solo se voglio voglio.
Le persone sono come il mio comodino.
E si sta così bene dopo aver letto un libro!
Nelle nostre riunioni si dispensano consigli buoni e antipatici allo stesso tempo. Le cose che non vorresti sentire ma che ti fanno amare le persone che riescono a dirtele.

Non bisogna perdere il contatto con la realtà.
Questo è il punto di tutto: ci ritroviamo per dirci che ripiegarsi su se stessi fa schifo e invece la vita è così bella. Che anche se è banale non ce ne frega niente.
Stasera sono tornata a casa con i soliti quattro libri nel cuore. Ognuno al proprio posto ma sempre seduti allo stesso tavolino.

Bentornata

IMG-20140926-WA0016

Oggi è un giorno bellissimo!
Piccoli, piccolissimi dettagli. Come l’aver dormito quattro ore e non essermi svegliata stanca. Non succedeva da un sacco di tempo.
Ho deciso che non mi sarei truccata e mi sono sentita molto più libera, molto più sincera.
La mattinata è passata lenta tra caffè e grammatica spagnola, ma sono uscita da scuola e il sole era così caldo da non poter trattenere neanche un sorriso. Sono salita in macchina e alla radio passava una canzone bellissima.
Mentre varcavo la soglia di casa un amico che non sentivo da tempo mi ha mandato un messaggio dicendomi che stava per iniziare la lezione di danza che tiene i suoi bimbi e senza motivo aveva pensato a me. 10 parole e un sacco di luce.
Mia sorella era di buon umore persino all’ora di pranzo, cosa che non capita quasi mai quando esce da scuola. Mi sono avvicinata e le ho stampato un bacio in fronte, i suoi capelli profumavano di cocco e il suo sorriso era fresco.
Ho mangiato insalata e bevuto una tisana, mi sono seduta insieme alle due grandi donne della mia vita e abbiamo guardato un po’ fuori dalla finestra.
Abbiamo iniziato a parlare ed è saltato fuori un posto bellissimo dove festeggerò il mio compleanno tra due settimane. Amici buoni e una casa in campagna.
Oggi è un giorno bellissimo.
Tra dieci minuti esco di casa e prenoto l’esame che finalmente mi permetterà di guidare una macchina vera e dedico due ore del mio tempo alle prove per una lettura di racconti in biblioteca.
Oggi è un giorno bellissimo e voglio fare tutto quello che mi piace.
Oggi è un giorno bellissimo e io sono in lieve ritardo.
Welcome back my sweet soul.

Le mie camelie

Ieri sera ci siamo seduti attorno ad un tavolo, io e pochi amici buoni. Un gruppo per niente omogeneo ma speciale. Abbiamo chiacchierato e sorridendo ho spiegato loro la mia categoria della possibilità. L’ho buttata lì sperando che germogliasse come è successo a me quando ho conosciuto Tiziana: Professoressa di liceo.
Lei mi racconta di come nessun giorno sarà mai uguale all’altro e di quanto sia importante essere aperti al fatto che tutto possa succedere. Si è fatta la promessa di non dare per persa neanche un’ora, neanche una classe, neanche una persona. Ha deciso di guardare il mondo lasciandogli il prezioso beneficio del dubbio.
L’anno che sta per finire è stato forse per me il più esigente e doloroso tra i miei freschissimi 18 di vita. Ci sono stati mesi in cui ho davvero pensato che qualcuno là sopra si divertisse nel lasciare aperti rubinetti che scaricavano solo acqua sporca e pesante sulla mia testa. Nuotavo nel petrolio. È stato il mio primo vero contatto con una vita leggermente amara.
Avevo chiuso contatti e perso amicizie. Allontanato persone. Smesso di ballare. Smesso di scrivere.
Ero profondamente arrabbiata.
È stato un anno cattivo.
La cosa più sorprendente di tutte, è che proprio in quell’anno ho fatto letture, incontri casuali, trovato significati che mi hanno cambiata e trasformata.
Non ho ricevuto nessuna illuminazione mistica né chiamata dal cielo.
Una mattina ho aperto gli occhi e ho deciso inconsciamente che era il momento di accendere la mia categoria della possibilità.
Ho deciso di cambiare inquadratura. Ho letto Calvino e mi ha detto che quando il mondo mi sembra condannato alla pesantezza posso volare come Perseo in un altro spazio. Posso guardarlo a testa in giù, senza scappare.
Ho letto di un’armonia bellissima e impalpabile che non poteva lasciarmi indifferente. Ho letto delle camelie. Ho rincominciato a pensare che un senso ci sia sempre, che la bellezza stia negli occhi di chi la guarda.
Può sembrare stupido e infantile, e non ho nessuna prova per dire che non lo sia.
L’unica controprova sono io, che di certo vivo più forte.
Sono rimasta quasi delusa quando ho scoperto che non c’è nessun traguardo nella malinconia che avevo scelto come seconda casa.
Nessuna poesia nel dolore.
Quest’anno è stato bruttissimo nei suoi stravolgimenti e bellissimo nel fatto che io li abbia accettati e fatti miei.
Ho incontrato le camelie e sto aggiustando il mio punto di equilibrio.

Voglio augurarti un lungo viaggio dentro te stesso.
Voglio augurarti la più accesa e ampia categoria della possibilità mai vista al mondo.
A chi parte, a chi torna, a chi scrive e si racconta. A chi non ci crede. A chi ha letto e non è d’accordo.
Spero che un giorno ognuno di noi trovi le proprie camelie.

Forse le cose cambieranno, ma non di domenica

cucina

La mia casa è fatta di persone.
Anno dopo anno queste persone hanno iniziato a smussare gli spigoli e alleggerire gli sguardi, così che tutti combaciassimo in un abbraccio perenne. Ci sono tante cose che mi tengono stretta in questo abbraccio: piccoli riti, abitudini, conversazioni fuori dal comune e un costante amore nonostante le 8 braccia che lo compongono non potrebbero essere più diverse.
Mi sono resa conto di come questa domenica abbia segnato l’inizio del mio inverno mentre ho aperto la porta in una cucina che profumava di torta.
Mia madre ha tirato fuori talmente tanti dolci da quel forno da averne preso persino l’odore. Probabilmente è una delle cose che mi ricorderò per sempre: il modo in cui non sa di profumare di buono, di mio, di nostro, e mi sorride.
Sono le otto e mi ritrovo dentro un’altra nostra piccola ricorrenza: in nessun caso è mai successo che la domenica sera ci sedessimo tutti a tavola per cenare. Ci si mette silenziosamente d’accordo per mangiare all’ora che ci pare, con cosa ci pare, quanto ci pare e perché ci pare. È una cosa piccola, e apparentemente insignificante, ma è un momento nel quale ridiamo tutti un po’ di più.
I miei bisticciano per gioco e mamma fa finta di prendersela, mia sorella se ne esce con una ramanzina sulla parità dei sessi e io sorrido complice. Il cane aspetta una coccolina.
La domenica sera so di essere esattamente dove dovrei.
Le mia famiglia ha influenzato profondamente la visione che ho del mondo, a volte in positivo, a volte con cinismo. Mi hanno dato la loro opinione e mi hanno cresciuto con la pretesa che io me ne formassi una indipendente, che avessi lo spirito critico sufficiente per ascoltare tutti ma trarre le mie conclusioni.
Ci sono momenti in cui mi chiedo perché non dovrei costruire un muro ogni giorno, perché il mondo dovrebbe meritarsi di vedermi per ciò che sono. Di vedermi nuda. Perché dovrei scendere a compromessi con me stessa per “andare bene”, per rispettare il mio ruolo, per non espormi troppo quando vorrei.
Poi mi ricordo che sono seduta davanti al pc con una fetta di pizza surgelata in mano e probabilmente mamma starà facendo il thé in cucina.
Mi ricordo che mi è stato insegnato che posso scegliere di non farlo.
Mi ricordo che è domenica sera e tutto diventa luminoso.